Era il 1965: in Italia, un bergamasco poco più che ventenne, che di nome faceva Felice e di cognome Gimondi, vestiva la maglia gialla del campione nella 52ª edizione della Grand Boucle.
Un altro, che di anni ne aveva 27 ed era nato a Isola d’Istria, conquistava a pugni stretti la cintura di campione del mondo nel campionato dei pesi superwelter. Il suo nome era Nino Benvenuti.
Oltreoceano invece, in quello stesso anno, nasceva una vettura destinata a segnare un’epoca e che faceva dei “muscoli” la sua caratteristica principali.
Come “muscle car”, infatti, l’avrebbero etichettata appena qualche tempo dopo.
Aveva grinta da vendere, un carattere deciso e pochi vezzi o particolari superflui.
A dimostrazione di ciò era disponibile in un solo colore - “Wimbledon White” si chiamava.
Come unico optional era offerta la possibilità di dotarla di due strisce nella tinta “Le Mans Blu” che procedevano dalla parte frontale dritte spedite fino alla coda
Sotto il cofano cantava un V8 “Windsor K-code” da 4.7 litri diverso dagli altri. E non solo perché era verniciato di nero.
Quanto piuttosto perché aveva speciali coprivalvole “Cobra”, tre collettori a Y e carburatori “Holley” oltre che inedite prese d’aria dal design tutto nuovo.
Un motore pronto a trasferire sull’asfalto delle highway americane, uno dopo l’altro, tutti i suoi 306 cavalli di potenza.
Quella auto era una Mustang. O meglio, una Mustang Shelby GT350.